Da diversi anni si assiste, più o meno impotenti, al crollo di alberi in città. Nei decenni scorsi sporadicamente, da qualche anno più spesso. Le ragioni addotte nel cercare di spiegare il fenomeno sono sempre le stesse: eventi meteo di maggiore intensità e cattiva o nulla manutenzione: leggi potature mancate o mal eseguite.
Non è cosi o perlomeno non sempre. Il problema è più complesso.
Osservazione giusta per il meteo – è indubbio che le manifestazioni cui assistiamo siano più violente, e questo ci dovrebbe spingere ad agire fattivamente nel contrastare la cosa a livello globale e con immediatezza – mentre è errata per quanto riguarda la “manutenzione” degli alberi.
Già il fatto che si usi il termine manutenzione invece di cura dovrebbe indurci a riflettere sulla generale incultura sul tema. Gli alberi si curano e non si mantengono o manutengono…non sono macchine ma esseri viventi.
Ma insomma e con tutte le conseguenze del caso, perché cadono? Cominciamo a chiarire a partire da cosa cade e del perchè cade.
Cadono branche, rami e ramuncoli (sbrancamenti si dice). Tralasciando la caduta dei piccoli rami, generalmente secchi e di poco o nessuno impatto (se si intervenisse con periodiche rimonde del secco non accadrebbe), il problema è rappresentato dallo spezzarsi di branche principali e/o rami minori ma sempre di una certa dimensione, le quali si spezzano non già perchè non potate ma, spesso, perché troppo potate nel passato: le famose e mai vietate capitozzature.
La sequenza di errori è palese: grandi tagli e ferite, insorgenza di carie (marcescenza del legno), esplosione vegetativa successiva sul punto, scosciatura e/o schianto del ramo o branca negli anni successivi.
E’ quanto succede sulle latifoglie: tigli, platani, alberi di Giuda, ligustri, ecc.
Cadono tronchi, si spezzano a varia altezza. Dovuto a insorgenza di carie e marcescenze varie indotte da ferite causate da svariati motivi: scosciature di grandi rami, urti, potature mal condotte.
E’ un problema che può interessare sia conifere che latifoglie.
Cadono interi alberi. Due situazioni differenti: si ribalta l’intera pianta con la zolla radicale oppure si schiantano al suolo come matite non avendo più apparato radicale sano ed attivo.
Sono situazioni che investono sia conifere che latifoglie.
Quando si ribalta l’intera pianta con la zolla, il problema è dovuto o ad un mancato /limitato accrescimento dell’apparato radicale (presenza di un sottosuolo con limitazioni fisiche ad esempio) oppure a lavori e scavi che hanno tagliato radici. Ancora a volte per un anomalo sviluppo delle radici (radici strozzanti o avvolgenti spesso indotto già in fase vivaistica).
Quando, invece, cade una pianta e questa non ha più radici, il problema nasce da una degradazione delle stesse ad opera di funghi distruttori. Tali funghi sono sempre presenti ma si attivano in presenza di altre cause. Esempio: terreni asfittici, con eccesso di irrigazione, radici ferite, ecc.
Come per le altre cause, quasi sempre i motivi sono riconducibili a mal condotte di terzi.
Quindi i differenti tipi di “crollo” sono legati a diverse situazioni di partenza, ma con un denominatore comune: ignoranza e disattenta gestione, tutte riconducibili all’uomo.
Elenchiamo le principali:
A monte di tutto ci può essere un problema vivaistico legato a produrre e commercializzare piante danneggiate e/o mal coltivate, cui possono seguire errate o inadatte tecniche di messa a dimora (profondità della buca; rottura del pane radicale, mancati apporti idrici al primo anno, ecc.).
Questo, pur nella generalità, è quanto. Conoscere i motivi aiuta ad evitare il ripetersi del problema.
Veniamo ai pini domestici (non ai pini marittimi che a Roma non ci sono proprio!), principali protagonisti incolpevoli di quanto sta accadendo.
Iniziati a piantare alle fine dell’800 nelle aree archeologiche, furono utilizzati estensivamente durante il “ventennio” in quanto, grazie al loro portamento particolare, ben rappresentativi degli stilemi razionalisti imperanti.
Anche in seguito è stato molto utilizzato ed è presso che presente ovunque: parchi , giardini, strade.
Al tempo non erano conosciute le sue caratteristiche, segnatamente l’ esigenza di permeabilità nel suo intorno, ed oggi , spesso, ne scontiamo i problemi: asfalti sollevati e quant’altro.
Il pino domestico in natura e quando a dimora da seme, è provvisto di un potente fittone da cui dipartono radici orizzontali importanti. In caso di trapianto da vivaio (ed è questo il nostro caso) il fittone è tagliato e si formano radici laterali che crescono e si approfondiscono anche in funzione del substrato in cui operano. Nelle città i più disparati. Facile capire che, quando ai lati delle strade, i substrati possano non essere ottimali.
Nonostante questi “difetti” ab origine, i pini a Roma sono cresciuti molto grazie alla frugalità specifica e incuranti dei molteplici attacchi cui sono stati sottoposti negli anni: scavi, impermeabilizzazioni, potature eccessive. Non è potandoli molto che si accresce la loro sicurezza.
E ora? Perché cadono? Cadono i più anziani che, di massima, sono quelli più danneggiati e deboli. I nodi sono arrivati al pettine. Devono essere abbattuti e sostituiti, con altra specie: quella giusta al posto giusto, con specie differenti sulle strade e, data l’importanza anche storica su Roma, con altri pini, ben allevati e trapiantati, nei parchi.
Anni fa quando la sensibilità non era cosi forte (e soprattutto non esistevano i social) questo è già accaduto. Si pensi a Viale delle Medaglie d’Oro. Tutti pini, attaccati ai palazzi, scavati a più riprese, inadatti e pericolosi. Senza discutere, all’ennesimo crollo, sono stati sostituiti tutti da…. tigli!
Specie importante nell’uso urbano, peccato di taglia troppo grande. Palazzi troppo prossimi, problemi di luce, insetti e quant’altro. Tanto si potano! È giù di motosega!
Una scelta miope. Un errore colossale, che paghiamo, tutti, periodicamente con danno economico e biologico.
Terminando, risulta evidente la necessità di procedere a sostituzioni mirate nel quadro indispensabile di un rinnovamento delle alberate, pini in primis, e sulla base di un Piano progettuale complessivo. Piano che deve prevedere ed indicare quale sarà “l’arredo vegetale” della città del futuro, “arredo” non solo paesaggistico ma formato da quelle specie le più rispondenti alle molteplici, acclarate necessità della vita urbana (economiche, mediche, climatiche, estetiche e di sicurezza).
Pierfrancesco Malandrino
Dottore Forestale – Studio di Arboricoltura Urbana – Roma